La risacca
di Floriana Giallombardo

Con il caldo di scirocco di quel mercoledì, il mare ingrossato dal vento, le barche erano state tirate a secco, a centinaia. I pescatori sciamavano verso l’interno, raccogliendo le lumache che imbiancavano le sterpaglie rinsecchite del parco. I babbaluci, Helix pisana, erano il ripiego per ammazzare il tempo.
Babbaluci e pescatori erano di casa a Selinunte. Nella notte dei tempi, avevano assistito alla gloria della città superba. Adesso, erano del tutto indifferenti alla sua decadenza.
Antonino, sulla poltrona di vimini all’ombra del carrubo, annotava sulla carta gli aspetti minuti, del tutto inessenziali, della sua permanenza. Il tempo, il paesaggio, i pasti, ma anche gli incontri e le impressioni più fugaci. Il biglietto sarebbe arrivato a Palermo ai suoi figli con il postale dell’indomani. Non condivideva con loro nulla delle sue preoccupazioni, eppure quell’immagine emergeva come un sintomo, per chi sapeva vedere. Helix pisana. Quella notte ebbe un sonno agitato, ricordando Teresa.
Sua madre gli aveva insegnato che distinguere, nominare, aiuta a combattere la malinconia. Lo conosceva bene, quel vortice che tutto mescola e confonde, che la prendeva, talvolta, come una risacca. Insegnò tutto quel che poteva ad Antonino, prima di cedere al suo cupo richiamo.
Scorrere le illustrazioni con i polpastrelli, seguendone i contorni, lo aiutava sin da bambino a imprimere nella mente le forme di quelle strane conchiglie. Quei libri illustrati che tanto le piacevano, Antonino li aveva imparati a memoria, sillabando. Di lì, quasi fosse la stessa materia, passò alle sue prime monete. Ogni tanto facevano un gioco: ad occhi chiusi, tenendo in mano una conchiglia, dovevano riconoscere il genere esatto, il nome. Sua madre rideva.
La nomenclatura serviva a imbrigliare le forme, distinguere il qui dal lì, separare identico e diverso. In mezzo, la palude incerta delle somiglianze solleticava l’immaginazione del piccolo Antonio, ma non faceva parte del mondo cristallino della scienza. Adesso, però, una sensazione diversa cominciava a germinare nella sua mente di adulto, con lo scirocco.
Antonino, a Selinunte, ci stava come i babbaluci e i pescatori. La vita rustica gli scuriva la pelle del volto, delle braccia, nonostante la camicia e il cappello calato sulla fronte. La monotonia delle giornate aveva, per qualche strana ragione, dilatato i suoi sensi e, al contempo, esacerbato la sua contraddizione.
La realtà che pensiamo di conoscere è fatta di frammenti, messi insieme dalla forza di un impulso. Analogie e somiglianze ci orientano, di fatto, nella selva di impressioni. Ad Antonino, tuttavia, le sue stesse impressioni – influenzate dalla complessione del momento, ma anche dal clima, dalla stessa fisiologia della digestione – non sembravano più tanto attendibili. Il metodo tassonomico, così come la memoria che l’aveva alimentato, cominciava a cedere sotto il peso, lento ma costante, della malinconia. La sentiva arrivare, alla sera, come l’onda della risacca.
L’istinto del cercatore, capace di intuire dalla curva del terreno, dalla radura nella macchia, il profilo delle forme di antichi manufatti, quello rimaneva. Ma era il guizzo dell’analogia, un gioco di dadi, che lo esponeva al pericolo dell’indistinzione. Chi cerca, trova, si dice. Oppure, talvolta, immagina di trovare. Antonino, a Selinunte, non poteva essere fallace. La missione aveva uno scopo, occorreva rispettare i tempi, i denari, la sua stessa reputazione.
L’indomani, di buon mattino, Antonino prese a fotografare. Il processo era lento; lui appuntava tutto, la qualità della luce, l’esposizione, l’orario, per renderlo replicabile. L’acribia imparata sulle ginocchia di Teresa, sillabando, tornava ad applicarsi alla materia impalpabile della luce, intrappolandola. Quel che si celava, tuttavia, era un movente germinato in segreto come l’erba fra i massi. Fotografare, solo e soltanto questo, poteva sostenere il suo malandato discernimento, dare sostanza ai contorni, imbrigliare le forme come un tempo. Helix pisana. O questo, o quello. Il mare, per il vento, faceva un rumore d’inferno. Antonino si mise a cercare ristoro nel fiume, nuotando fra i papiri.
Fu allora che Antonino, per tutti gli altri archivista, archeologo, padre e professore, divenne, per sé stesso, fotografo. Dietro l’obiettivo, le forme del mondo fermavano la loro incessante incostanza. E lui, con le dita di bambino che scorrevano sui bordi delle chiocciole, poteva finalmente toccarle. Teresa, di certo, avrebbe capito.
Ultima modifica: 11 Marzo 2025