2 giugno 1676: nigro notanda lapillo
Di Cinzia Miceli
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Era giugno del 1676, quando io, Francesco Oliveri, praticante di notar Bartolomeo, impegnato a mettere in ordine gli abbozzi degli ultimi atti rogati udii un fragoroso rimbombo che scosse le pareti del piccolo mezzanino in cui, da mattina a sera, lavoravo dietro uno sgangherato scrittoio. Mi affacciai alla piccola finestra che dava sul corso; l’area era madida, soffocante, il sole picchiava forte, la strada deserta e silenziosa. Erano le 14 di un lunedì o martedì di inizio mese. Un calpestio sopra di me mi fece alzare la testa: era appena accorso ad affacciarsi al balcone della sua grande casa notar Bartolomeo, seguito dai figli, il piccolo Blasco e Teresa, giovane ma già in età da marito. Che succede Francesco? Ci precipitammo d’abbasso, aprimmo la piccola porta di servizio del grande portone ma rimanemmo sull’uscio, impediti a proseguire oltre da una densa coltre di polvere che sollevatasi da terra era quasi nebbia. Era ancora possibile intravedere gli zoccoli dei cavalli appena usciti dal vicino quartiere militare che correvano a rotta di collo verso porta Felice. Sulla strada alcuni fanti della guarnigione si attardavano in disordine impacciati dalle loro bandoliere. Un altro botto assordante e la porta civica sparì alla nostra vista avvolta da dense colonne di fumo grigiastre. L’avanguardia della flotta francese comandata dal maresciallo de Tourville dominava lo specchio d’acqua antistante la città, le navi incendiarie, come poi seppi, avevano forzato le difese e la Capitana Real, già provata dalle precedenti battaglie, era colata a picco. Rimanemmo in strada diverse ora ma non ci fu possibile andare oltre la casa dei religiosi Teatini, qui ci fermammo e fummo accolti da padre Girolamo Termini. La città fu ostaggio delle polveri e di terribili boati fino alle 18. Solo a sera ci fu possibile raggiungere porta Felice. Silenzio, polveri, nubi, ancora silenzio. Il blu del mare aveva una tinta plumbea, come quella che assumono gli argenti vecchi e non lucidati, il cielo era un tutt’uno con esso. A pochi metri di distanza da noi, due uomini parlavano fuori da una carrozza, scortata da servitori a cavallo armati; le livree erano quelle azzurre con galloni d’argento di casa Valdina. Giacomo Serpotta e il principe don Carlo, erano da poco usciti dall’Oratorio della Carità, più in là, innanzi all’uscio si scorgevano il massaro, due sacerdoti e altri nobili confrati. Don Carlo, primo consigliere della Compagnia della Carità di cui notar Bartolomeo era il segretario, altero ma visibilmente affranto, parlava. Ci avvicinammo e il principe ci rivolse un rapido segno di saluto con lo sguardo.
Mastro Giacomo, è venuto giù tutto! Dei suoi stucchi non è rimasta che polvere, poveri noi, dovete rifarli! Principe, caro don Carlo, dovete pagarmi! Lo faremo, Giacomo, lo faremo e con gran spesa se sarà necessario ma ad un patto. Quale? Dovete promettere a me, vostro amico, al nostro illustre governatore e a tutti i confrati che farete statue, ghirlande, rabeschi di stucco dei più belli che mai si vedranno in questa città e dei più forti e ben saldi tali da resistere a qualsiasi carica di batteria. Non vedo difficoltà, finora, don Carlo. Con un obbligo, Giacomo: dovrai garantirmi che qualora futuri disastri del genere compromettessero nuovamente i tuoi stucchi sarai tu, in persona, a farli nuovamente e nella stessa maniera ed in nome della nostra lunga amicizia ad un prezzo inferiore. Beh la pretesa non è da poco don Carlo, però magari potreste lasciarmi adornare alcune stanze del quarto inferiore del vostro palazzo, che in vista delle nozze del vostro secondogenito stata facendo decorare, potrei così … Accettate! Accetto!
Si era fatto tardi, decisi di ritirarmi a casa lasciando che gli altri si attardassero ancora discutendo fra loro. Rientrando tracciai un segno nero sulla data di oggi nel calendario, ed un’altra del medesimo colore su quella del giorno successivo: mi sarebbe toccato finire il lavoro interrotto nel pomeriggio e trascrivere la minuta che di certo notar Bartolomeo avrebbe redatto per don Carlo e mastro Giacomo. Nella prima carta della rubrica degli atti dell’anno, però, lascerò memoria di quanto accaduto oggi.
Ultima modifica: 20 Maggio 2025