1841, novembre 15 [Palermo]. Antonino Verzera, Archiviario, propone un regolamento per la gestione dell’archivio della Gancia dello Spirito Santo

Archivio di Stato di Palermo, Monastero di San Martino delle Scale, Fondo I, b. 140

Documento

· Regolamento da tenersi per la contabilità esistente allo Spirito Santo li 15 novembre 1841

Sunto

Palermo, 15 novembre 1841

Antonino Verzera, Archiviario, scrive all’abate di San Martino delle Scale a seguito di una visita alla parte dell’archivio riguardante la contabilità e i titoli originari di possesso dei beni della Gancia dello Spirito Santo, esponendo le condizioni generali dell’archivio, un programma di lavoro per il riordinamento, una bozza di regolamento per la gestione.

Analisi del documento

Il documento, conservato all’interno di una busta del fondo di Contabilità (Fondo I) dell’abbazia di San Martino delle Scale, contiene il testo di una lettera inviata all’abate da un archivista, tale Antonino Verzera, a seguito di una visita effettuata dallo stesso, su incarico dell’archivista ufficiale del monastero, il frate Giuseppe Dusmet, alla parte dell’archivio riguardante la contabilità e i titoli originari di possesso dei beni della Gancia dello Spirito Santo (1).

Dopo aver esposto le condizioni generali dell’archivio, trovato in parte disordinato e non inventariato, il Verzera presenta all’abate una bozza di programma di lavoro per il riordinamento, l’inventariazione e l’indicizzazione delle carte antiche e un regolamento per la loro gestione futura, suddiviso in ben 12 articoli.

La missiva contiene addirittura una sorta di preventivo per la realizzazione del lavoro. Il mittente, infatti, si propone come esecutore dell’opera, con diverse possibili modalità di pagamento: in un’unica soluzione, per un ammontare di 1166 onze e 20 tarì, in ragione di 10 tarì per ogni unità

archivistica lavorata, secondo i prezzi correnti nel mercato; oppure a rate da 48 onze al mese, piuttosto che al prezzo di mercato di 115 onze mensili, se la comunità monastica accetterà di assumere a tempo pieno il Verzera per tutto il periodo necessario a portare a termine il lavoro, stimato in cinque anni.

Da notare l’abile uso della retorica da parte dell’autore del documento che, pur di ottenere l’incarico, punta molto sull’importanza dell’archivio come strumento per una corretta amministrazione e difesa del patrimonio: «si è perciò che quasi tutti i particolari, nelle loro rispettive cose, e gli Amministratori tutti di qualunque corporazione, o luoghi pii, per la difesa e la custodia dell’intiere proprietà, tengono lo Archivio ove trovarsi conservati tutti i titoli di qualunque natura essi fossero, così lo Archivio si reputa, più di nummerario, effettivo, perché esso racchiude tutte le provenienze del patrimonio, sì attivo che passivo, e senza titolo non possono riscuotersi le annuali prestazioni». Nel cercare di vendere al monastero la propria attività lavorativa, il Verzera sottolinea, ovviamente, il carattere pratico dei documenti, presentati come il mezzo di prova più efficace dei diritti di proprietà dei monaci, piuttosto che quello culturale di fonti della ricerca storica. In questa prospettiva, si fa tra l’altro presente, oltre all’urgenza di riordinare l’archivio storico, la necessità applicare nel futuro delle regole chiare nella formazione dell’archivio corrente, «somministrando quelli elementi che potranno abbisognare sia nella costanza delle liti sia per la formazione della scrittura, e più di tutto per la rinnovazione delle iscrizioni, che di tratto in tratto debbono eseguirsi» (2).

Gli antichi termini tecnici utilizzati nella lettera si ritrovano anche negli strumenti di ricerca del fondo archivistico dell’abbazia ancora conservati presso l’Archivio di Stato di Palermo: nella pandetta si fa uso del termine “capsula” per indicare gli armadi contenenti i volumi, così come viene adoperata la definizione di “carte sfuse” come corrispettivo dell’attuale “carte sciolte”, ad indicare i documenti non legati in volume.

Per concludere, il documento qui proposto appare molto interessante soprattutto perché rivela un inizio di “coscienza archivistica” da parte dei monaci di S. Martino delle Scale, disposti a incaricare un archivista esterno pur di arrivare a un corretto riordinamento e descrizione della documentazione storica e a una adeguata gestione dell’archivio in formazione.

Autore scheda

Salvatore Spica


Note

(1) Il termine “Gancia” indica le case conventuali site all’interno delle mura cittadine e dipendenti da monasteri collocati fuori dallo spazio urbano. Venivano adoperate soprattutto per accogliere i pellegrini o i malati o gli stessi monaci della casa madre che si recavano in città per i più svariati motivi. La Gancia dello Spirito Santo, fondata nel 1354 come dipendenza dall’abbazia di S. Martino, si trovava nell’attuale via dello Spirito Santo, a pochi passi dalla chiesa di S. Agostino ancora esistente. Con l’emanazione delle leggi eversive dell’asse ecclesiastico (anno 1866), il convento venne confiscato ai monaci di S. Martino e trasformato prima in un asilo infantile, poi in caserma dei vigili del fuoco e, infine, in caserma della polizia. I suoi locali ospitano attualmente l’Ufficio Segreteria e Protocollo del Comune di Palermo.

(2) Con queste parole, l’autore del documento intende dire, in definitiva, che il regolamento da lui proposto, e applicabile con il suo aiuto, potrebbe giovare al monastero non solo in caso di liti giudiziarie con soggetti come gli affittuari o i confinanti, perché agevolerebbe il ritrovamento rapido dei titoli di proprietà e dei contratti di affitto, ma anche tutte le volte che vi fosse la necessità di rinnovare tali titoli e di conservare correttamente i nuovi documenti prodotti nel corso del tempo

Ultima modifica: 10 Ottobre 2024