La concessione della tonnina ovvero, la gioia del palato
Di Rachele Fiorelli
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Fra Angelo Sinisio non poteva ancora credere a quanto gli era accaduto poco tempo prima: una convocazione, e che convocazione, da parte di Emanuele Spinola Arcivescovo di Monreale che, con il suo fare pomposo, dall’alto della cattedra sulla quale sedeva, lo insigniva (o forse gli appioppava) del titolo di Priore dell’Abbazia di San Martino delle Scale. Lui, giunto dalle pendici dell’Etna, con uno sparuto gruppo di ancor più perplessi frati, oggi diventava il “dirimpettaio” del mastodontico complesso Benedettino di Monreale. Guardandosi intorno certo non poteva schermare gli occhi stanchi dallo scintillio dei mosaici che aveva appena visto nella vicina e straordinaria Cattedrale. Al contrario, la chiesa che gli era toccata in sorte, aveva decisamente bisogno di una sistemata soprattutto dopo che i gentili saraceni avevano pensato bene di lasciare non certo un monumento memorabile per i posteri.
I sei frati suoi compagni di avventura si affaccendavano come formichine per scale e corridoi: chi si occupava delle opere murarie, chi inventariava i beni rimasti, chi si occupava delle pubbliche relazioni cercando di rinfrancare le anime del gregge che circondava l’abbazia. Non era certo la carriera che aveva sognato in seminario ma, dopo il tremebondo Mosè, il vessato Giobbe e, non ultimo il sempre caro Gesù, chi era lui per venire meno a un incarico così importante?! Trascorsero gli anni, circa una ventina, e inaspettatamente il priorato progredì costantemente inorgogliendo lui, i coraggiosi confrati e la comunità, devota, partecipe e piuttosto munifica. Restava un problema, forse poco teologico ma certamente fondamentale: la mensa… Dopo le orazioni, il servizio pastorale, le privazioni autoimposte e le veglie mattutine, i frati avevano fame e il Priore ben sapeva che “pancia vuota non sente ragioni”. Le pance non erano letteralmente vuote, solo annoiate dopo mesi e anni di verdure (giornaliere), cereali (soventi), uova e latticini (a volte), pollame (raramente), manzo (sporadico). Il fratello addetto alla cucina faceva del suo meglio con i prodotti che la campagna e le riscossioni dai contadini offrivano ma non bastava, si rischiava una piccola rivolta tra le quiete mura di San Martino delle Scale.
Non poteva sapere padre Angelo, che in un romanzo per ragazzi scritto molti anni a venire un monellaccio chiamato Giannino Stoppani, al secolo Gianburrasca, guiderà una rivolta in collegio al grido di “Viva la pasta col pomodoro”! Era inverno e il monotono regime alimentare fiaccava lo spirito più delle piogge (che allora cadevano sicuramente copiose), quando una missiva giunse sulla scrivania del priore che pigramente srotolò la pergamena già iniziando a temere qualche altra infausta notizia. Tuttavia, quando iniziò a leggere un crescente entusiasmo prese a scaldargli il petto e un insopprimibile borbottio animò le sue viscere solitamente taciturne: Federico IV re di Sicilia concedeva vita natural durante, una fornitura di, udite udite, ventiquattro botticelle di tonnina salata all’anno da prelevarsi dal prodotto delle tonnare della Regia Corte. Correndo a perdifiato lungo i gelidi corridoi, incespicando nel lungo abito talare, raggiunse la cucina per comunicare con solenne importanza l’inaspettata notizia. Un boato di entusiasmo si levò altissimo, mai più sentite giaculatorie vennero lanciate, inappropriatamente più festanti di quelle riservate al santo patrono, per dirla tutta.
Ritirato il preziosissimo carico, il Frate cuoco stette rinchiuso una settimana a stilare nuovi menù per deliziare i salivanti commensali. La prima delle nuove “proposte di mare” fu una deliziosa pasta (del resto gli infedeli qualcosa di buono l’avevano pur fatta) con soffrittino di cipolle, uvetta, pinoli, tonnina e una gustosa spolverata di “mollica atturrata”. Il tutto generosamente irrorato di dorato olio d’oliva e traboccanti coppe di vino per dissetare le arse gole. Seguirono nei pranzi a venire, del resto non si poteva fare festa tutti i giorni, morbide polpettine accompagnate da verdure “a tutto dentro”, bruschette dorate con filetti di tonnina e mentuccia (in estate), abbinamenti arditi o di comprensione più immediata vennero proposti ai confrati il cui palato diventava sempre più esigente e scomparve così la memoria dei giorni passati a pane e verdure amare raccolte svogliatamente nei campi del priorato.
Da quel glorioso 9 Febbraio 1364 la cucina del monastero si distinse per varietà, allegrezza e insaziabile appetito. Fra Angelo Sinisio tornò a pascersi nei sogni di gloria che aveva fatto in seminario, i suoi venerandi genitori si compiacevano con amici e parenti per quel figlio portentoso che non solo aveva fatto una brillante carriera rilevando un monastero decadente con poche prospettive e trainandolo verso un’irrefrenabile ascesa, ma soprattutto era riuscito a farlo diventare un punto di riferimento per la gastronomia locale. Se qualcuno avesse pionieristicamente inventato il format “Quattro monasteri” la vittoria sarebbe stata insindacabile! Ma a proposito di programmi televisivi, qualcuno avrà sicuramente saputo della brillante parentesi gastronomica che ha coinvolto il monastero e i suoi abitanti nei secoli addietro, perchè dal 2022 una nota emittente televisiva ha prodotto e diffuso un programma chiamato “Le ricette del convento” dove due ispirati (evidentemente non solo dal Divino) frati si cimentano in ricette della tradizione in barba a chi considera solo le monache depositarie dei segreti gastronomici di ogni regione e nazionalità.
Una rivalsa al maschile in un mondo di agguerrite sorelle che, sotto il vessillo dell’arte dolciaria, ha spadroneggiato in tutta la Sicilia. A noi non resta che tirare fuori dalla dispensa il sempre caro barattolo o lattina di tonno, salvatore di serate in cui l’eco della nostra voce riecheggia in un frigo vuoto e la nostra mente si arrovella in cerca di una pietanza da portare a tavola, e affidarlo alla memoria del Priore Angelo Sinisio e della sua brigata!
Ultima modifica: 11 Aprile 2025