La serva del Bey 

di Myriam Sciarrino 

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“Di peste, di peste!” ripete lacrimando Susana. Annuisce a ogni parola, come per scandirla meglio.  

I gesti goffi e teatrali della donna mi irritano ancora di più e forse una pericolosa rabbia sta vincendo sul mio dolore.  

In questa fredda mattina la triste conferma di quanto temevo da tempo: Lauretta non c’è più. La peste, i turchi e il loro dio me l’hanno portata via. 

Agitando le braccia, il prete cerca di calmare l’invasata. “Piano, piano, così non ne capiamo niente. Voi eravate o no con la giovane quando è successo?”.  

Susana prende fiato, come se fosse appena arrivata di corsa: “Non quando è successo, ma con il mio Bey andavamo a trovarli spesso. Ci erano affezionati, sapete? Era così bella Lauretta, pure il figlio del suo Bey se la voleva maritare”.  

Questo lo sapevo già. Caterina, un’altra schiava liberata che frequentava la casa di Lauretta, aveva sentito il suo padrone parlare di questo matrimonio: pare che quel giovane avesse insistito tanto per ottenerlo. 

“Dite un po’, confermate che la ragazza ha rinunciato all’unica vera fede e ha accettato quella degli infedeli?” chiede il parroco, interrogando secondo l’ordine delle sue priorità.  

“È vero! Io ero con lei quando si fece turca. Ci hanno portato tutti lì, dal Solimano l’orbo, il padrone suo, per farci vedere. Credevano forse di convincerci anche a noi a farci rinnegare a Gesù, ma non funziona con Susana, padre… No, no, no! U Signoruzzo in mezzo ‘u cori m’u porto!” dice con fervore, battendo i piedi come una bambina capricciosa. 

“Eravate con lei? Le hanno usato violenza?” insinua il parroco.  

A quella dichiarazione, il pensiero di Lauretta, da sola in un posto così orribile, costretta a quei rituali barbari, mi spezza il cuore. Non so che espressione avessi in volto, ma temo di non aver saputo controllare il mio rancore, perché quando incrocio il suo sguardo, la donna sobbalza sorpresa e sembra quasi spaventata.  

“Violenza, dite, padre Bernardino? Non credo.” balbetta Susana, come a giustificarsi. “Era serena quel giorno, quasi contenta. Intisi tante storie, terribili, di schiavi picchiati e incatenati dai Turchi, ma cu nuatri mai furono violenti! Quando ci presero, ci legarono, sì, e ci chiusero nella stiva. Oh… Il viaggio brutto fu! Onde alte come il campanile della cattedrale, ma durò solo una notte, il tratto fu breve fino a Tunisi. Dal porto ci portarono in casa. Non so cosa successe a Lauria, Lauretta vostra, ma a me mi lavarono e vestirono alla turca e poi mi dissero i mestieri che mi toccavano. Noi non volevamo rischiare guai e facevamo quello che ci dicevano. Lavare, cucinare, cucire, rassettare, di continuo! Guardate qua, con quel caldo mi sono venute verruche e dolori da diavolo!” piagnucola, agitandoci davanti alla faccia le mani fasciate.  

Si sta facendo buio nella piccola sacrestia, una nera nuvola minacciosa si muove inesorabilmente sopra la chiesa, soffocando l’ultima luce del giorno.  

“E la conversione, dunque?” insiste il parroco.  

“Anche in questo non ci obbligavano. Si viveva alla turchesca, niente vino, niente maiale, digiuno e preghiera, ma non ti costringono a cambiare. Non va bene se lo fai perché sei costretto, dicevano”. 

Questa donna non ha idea di quanto sia stata fortunata, in questi giorni disperati ho sentito storie assai terribili sui turchi.  

“E quindi? Mi volete far credere che abbia davvero voluto cambiar fede e sposare un moro?” sbotto d’improvviso. Non posso accettare che la mia piccola Lauretta, sempre casta, sempre devota, possa essere cambiata in questo modo.  

Susana sembra un po’ nervosa adesso. Guarda distratta fuori dalla finestra, mentre inizia a piovere. Sospira e mi risponde con tono sommesso. “Io non posso parlare per sua nipote, Don Jacobo, vi sto solo dicendo che l’ho trovata bene. Beh, bene fino al giorno che si è ammalata.”  

Il rimorso di non averla riscattata si fa sempre più forte, la mia povera piccola. Non appena avranno scoperto la malattia, sarà stata abbandonata in qualche angolo di strada. Se solo l’avessi trovata prima, avrei potuto portarla a casa e prendermi cura di lei. Forse, con le giuste attenzioni, avrei potuto salvarla. 

Quasi come se riuscisse a leggere i miei pensieri, Susana mi carezza il braccio con quella sua mano ricoperta di bende. “Si sono presi cura di lei, sapete? Il figlio del Solimano le ha fatto preparare una stanza e mi hanno detto che non la lasciava mai”.  

Resto nuovamente sorpreso dalle parole della donna, la mia confusione è visibile. Per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, Susana abbassa il tono della voce e con uno sguardo inquieto, ma tragicamente sincero, mi sussurra un’assurda verità. 

“Don Jacobo, Lauretta il figlio del Solimano lo amava per davvero”. 

Ultima modifica: 21 Giugno 2024