Ove conducono i sogni
Di Alice Solina
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Si sentiva solamente il suo respiro affannato. Un battito forte che gli risaliva in gola, dei rintocchi frenetici e costanti, del più esatto degli orologi. Volpe correva, le sue gambe gli erano fedeli e lo conducevano sempre lontano, lì dove veniva stabilito che andasse. Era il migliore a trovare le scorciatoie, conosceva le campagne quanto le sue tasche e tra esse s’insinuava come animale selvatico. Il corriero dei Grandi, le sue dita affusolate sapevano custodire le pergamene senza arrecare stropicciature e come partivano giungevano. Perfette. A sinistra i monti, a destra il mare. Frequentemente gettava un’occhiata fugace in quella distesa, come a voler scorgere prossime alla riva i legni turchi. Paura, forse, di non fare in tempo. Il suo Re, Ferdinando II, stava diramando una circolare per difendere i litorali da quelle navi veleggianti. Corsari, barbari, nemici. Che responsabilità, Volpe. E giungeva lesto, senza respiro, con le gambe che ancora correvano e scampavano agli impacci, balzavano per schivar cose e persone lungo la via, tra vicoli o le piazze. Fino a lì. Ah che fatica, Volpe! Ma gli pareva adesso d’aver salvato il mondo. E mica sapeva, poi, che parole il Re aveva impiegato! Volpe se l’era solo immaginate: i corsari, presto, alle armi! Torrai e Cavallari che brandivan spade e picche, lì sguainate sui moli e nelle rive, che presto avrebbero fatto a trafiggere il nemico appiedato con gli sgualembri. La città a ferro e fuoco ed in lontananza galeoni con vessilli del Regno che in aiuto sarebbero sopraggiunti. Quasi gli pareva di sapere già tutto. Non più solo corriero, adesso, ma persino indovino! Uno stupore che gli distendeva le rughe del volto, allargandogli gli occhi e la bocca, quando l’amico della caserma – e non esisteva corriero che non avesse il modo suo per scoprire ciò che per miglia aveva custodito – gli svelava cosa il Re aveva redatto. Certo, lungo la strada aveva romanzato quella circolare, ma il pensiero dell’avventura e della battaglia ben gli avevano fatto compagnia. Solo, sì, ma coi suoi pensieri. Volpe era stato lesto ed era giunto in città ben prima del tempo stimato, così aveva deciso di recarsi al porto per sbirciare i movimenti delle navi militari. C’era un muro mezzo diroccato che si affacciava sui moli ai quali attraccavano i galeoni, quasi interamente ricoperto dall’edera rampicante e con qualche buco qua e là. Doveva starsene piegato sulle ginocchia con la schiena tutta incurvata, le dita cercavano tra le pietre un appoggio stabile, infilandosi nelle ruvide fessure, mentre i piedi stanchi dovevano continuare a sopportare quei soprusi. Questione di priorità. Chi dall’altra parte si fosse voltato a vedere, avrebbe visto un buco con un occhio verde, e avrebbe solamente pensato di non aver smaltito il rum della sera prima. Le torri di guardia avevano raddoppiato le ronde, mentre in mare si allontanavano i galeoni al fine di vegliare sulle coste, più di quanti normalmente ce ne fossero. Che magnifiche navi, quelle. Cinque alberi, cassero di poppa, due file da dieci pezzi d’artiglieria per lato. Inaffondabile. Il Re, infatti, aveva delegato la vigilanza dei mari e delle coste alle guardie del paese, i cavallari e i torrai. Nell’osservare dal foro Volpe percepiva le sue palpebre farsi pesanti e sembrava che si erano fatte loro carico di quella frenetica corsa. Calavano come un velo nero, accompagnando dolcemente quel viscerale bisogno di tregua, un’esigenza del corpo e della mente che si manifestava a Volpe attraverso un sonno profondo. Lì, tra le pietre e l’edera rampicante, sotto al muro mezzo diroccato. Una voce gli tuonava nella mente e si ripeteva con il ritmo dei tamburi di guerra: alle armi! Alle armi! Il legno turco era a poche miglia da riva, i suoi cannoni miravano ad una nave cristiana ch’era in procinto di attraccare al molo. Il cielo, fino a quel momento terso, cominciava a macchiarsi di grigio. Un rogo s’innalzava come nube piroclastica dall’imbarcazione cristiana, vittima del ferro nemico scagliato con veemenza, e tutt’attorno l’aria ed il mare si facevano carico di angoscia e sciagura. Il bastimento cristiano veniva assalito dai barbari, derubato del suo carico e della sua identità: le vele in fiamme, i vessilli stracciati, il legno spezzato. Un gran movimento da riva verso il largo, i galeoni solcavano le onde con impetuosa furia e dal ponte le truppe sguainavano le armi. Una mano ruvida stava strattonando la blusa di Volpe e pareva che qualcuno gliela volesse strappare di dosso, tanto da impaurirlo. Un ufficiale gli intimava di correre: c’era un messaggio urgente che doveva viaggiare lesto, da una terra ad un’altra. Le gambe del corriero, che non avevano goduto di sufficiente riposo, tornavano a correre fedelmente per condurlo lontano e ancora una volta il respiro si affannava, facendogli risalire in gola il cuore. A destra i monti, a sinistra il mare. L’orologio nel suo petto si faceva sempre più incalzante in un ritmo tachicardico che gli ricordava ancora e ancora i tamburi di guerra. Esso pulsava, bruciava sotto la pelle, mentre il sudore gli irrorava la fronte e le guance, perché ancora una volta Volpe sentiva di avere sulle sue spalle il peso del mondo. Durante questi attimi di folle agitazione gli occhi del corriero si schiudevano, non vedendo che buio tutto attorno a sé: la notte era ormai calata, la costa era sicura e si era reso conto che i suoi sogni lo avevano condotto ben più lontano delle sue gambe.
Ultima modifica: 24 Marzo 2025